Vino invecchiato in mare, lo abbiamo assaggiato

Vino invecchiato in mare, lo abbiamo assaggiato


Avete mai assaggiato un vino invecchiato in fondo al mare? È questa l’idea di Jamin, la startup di ingegneria subacquea nata a Portofino nel 2015 che si occupa di conservazione sottomarina di prodotti alimentari allo stato liquido. Un’idea ancora in via di sviluppo, di cui la realtà ligure ha voluto rendere conto martedì 16 gennaio, a Roma, con una degustazione di vini affinati in profondità. L’evento è stato concepito per affrontare curiosità e dubbi intorno al progetto di Antonello Maietta, ex presidente dell’Associazione italiana sommelier (Ais) e da poco presidente di Jamin che si occupa di fornire alle aziende produttrici di vino il know how per trasformare in piccole cantine alcuni angoli di Mediterraneo. Il nome Jamin (con l’accento sulla “i”) trae origine dal dialetto ligure: viene dal termine “giaminàre“, che significa “lavorare duro”. Oggi le cantine subacquee sono situate a Portofino, Ravenna, Termoli, Acquappesa e Scarlino.

Il processo di conservazione

Le bottiglie destinate alla conservazione subacquea vengono immerse dopo essere state sistemate in ampie ceste metalliche che possono ospitare dalle cinquecento alle mille bottiglie. Poiché la profondità in cui vengono calate è differente (a Portofino si va a -52 metri, mentre ad esempio a Ravenna i metri sono -35), i mezzi utilizzati per l’immersione vanno dal battellino al pontone. Ogni “cantinamento” subacqueo costa intorno ai 12mila euro, a cui se ne aggiungono altrettanti per l’operazione di estrazione delle bottiglie. La risalita in superficie della cesta è molto lenta: ogni dieci metri, si deve fermare, proprio come per i sommozzatori, che hanno bisogno di una risalita graduale.

Per quanto la conservazione subacquea possa avvenire a diverse profondità, le bottiglie devono essere depositate oltre il termoclino, lo strato di mare che separa le acque superficiali (più calde e mosse) da quelle profonde, dove la temperatura è costante tra i 13 e i 14 gradi in quasi tutto il Mediterraneo. La conservazione è monitorata da sensori agganciati alle celle. Un algoritmo filtra le informazioni che emergono dal monitoraggio, segnalando solo importanti sbalzi di temperatura delle acque o la presenza di correnti sottomarine anomale. I sistemi di controllo costano circa mille euro l’uno e vanno cambiati ogni due o tre anni a causa della salsedine che ne mina il funzionamento. “Stiamo tuttavia progettando un sistema di sensori chiamato ‘smart cage’ più economico e in grado di fornire migliori prestazioni“, spiega Maietta a Wired a margine della presentazione.

I periodi di affinamento in mare variano in base al prodotto: possono durare sei mesi, un anno o anche di più. Alcuni vini sono in acqua dal 2016. Le bottiglie immerse sono rivestite di una pellicola biodegradabile, e i tappi di sughero sono sigillati da capsule elastiche. Stando alle parole degli esperti, seppur rivestito, il tappo in sughero permette l’ingresso di ossigeno nella bevanda, ma non abbastanza da ossidarla. Tuttavia, le ricerche su questo aspetto sono ancora in fase iniziale. Fino ad ora, infatti, è stato pubblicato solo uno studio scientifico sull’affinamento subacqueo del vino a opera della Facoltà di enologia e viticoltura dell’università di Firenze pubblicato sulla rivista specializzata L’enologo.

Il “cantinamento” subacqueo nel mondo

Si stima che nel mondo le bottiglie di vino invecchiato in mare nel 2021 siano state centomila. Nel 2022 il numero è salito a 400mila (di cui 150mila in Italia), mentre nel 2023 la cifra si aggira attorno alle 7/800mila unità. I numeri non riguardano solo il Mediterraneo: anche altri paesi si sono mossi per la creazione di cantine subacquee: ci sono produttori in Spagna, Francia e Argentina. Negli Stati Uniti l’affinamento in acqua dei vini è proibito per rischio contaminazioni, ma è legale l’acquisto di prodotti conservati in questa modalità.

Ciò che muove il nostro operato è la ricerca di sostenibilità spiega Maietta –. “La climatizzazione naturale dei fondali marini permette di risparmiare sulla corrente necessaria per le cantine; per non parlare del risparmio di suolo“. L’obiettivo è creare cantine “di prossimità” in vari territori (anche nei laghi), per evitare che i prodotti conservati in mare debbano poi intraprendere lunghi viaggi su gomma per essere commercializzati, vanificando lo sforzo di riduzione delle emissioni di CO2 e di tutela dell’ambiente. Jamin esiste ancora da poco ma investe più del 30% dei fondi a disposizione in ricerca e sviluppo. “Sembra tanto, ma per noi è il minimo indispensabile, soprattutto oggi che in Italia non ci sono ancora concorrenti, né massa critica, dato che è un mercato di nicchia”, conclude Maietta.



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di Giovanni Esperti www.wired.it 2024-01-21 05:40:00 ,

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